Le origini del nome Fucecchio
Per spiegare il nome Fucecchio storici ed eruditi del passato si sono esercitati con le più temerarie interpretazioni.
Ficeclum è senz'altro il vocabolo più antico e diffuso, che, dopo un'assai dubbia testimonianza del 932, si afferma con sicurezza fin dal 1011 per poi ripetersi, nella stessa forma, in molte carte relative a donazioni in favore dell'abbazia di San Salvatore durante l'undicesimo secolo. Successivamente Ficeclum si evolverà nella forma Ficecchium (XIII secolo), quindi Fucecchium (XIV secolo), per approdare infine all’italiano volgare Fucecchio (talvolta, come si è detto, anche Focecchio, ma raramente).
Sulla base di queste testimonianze gli esperti di linguistica interpretano il nome Ficeclum come derivazione da ficetulum, ossia “luogo dei fichi”, lasciando immaginare che la vegetazione prevalente o più appariscente fosse formata intorno al Mille da fichi.
Disponibile un approfondimento sulle origini del nome Fucecchio a cura del professor Alberto Malvolti.
Le origini cadolinge
Le origini di Fucecchio sono strettamente legate alla storia dei conti Cadolingi, potente casata di origine longobarda che, attorno all’anno Mille, possedeva già terre e castelli nella Valdinievole e nel Valdarno Inferiore. Spinti dalla crescente potenza del Vescovo di Pistoia a cercare nuovi spazi per poter affermare un proprio autonomo potere, essi trovarono nel ''luogo detto Fucecchio'' le condizioni ideali per costruire il centro di una signoria territoriale equidistante dalle maggiori città (Pistoia, Lucca, Pisa e Firenze) e all'incrocio di importanti vie di terra (la via Francigena) e d'acqua (l'Arno e la Gusciana, emissario del Padule di Fucecchio). Presso un guado sull'Arno essi fecero erigere, attorno all’anno Mille, il castello di Salamarzana, primo nucleo dell’insediamento fucecchiese.
Nel 986 è documentata per la prima volta la Chiesa di San Salvatore, fondata dal conte Cadolo in prossimità del ponte sull'Arno e dell'adiacente porto. Sul fiume era nato il secondo nucleo insediativo da cui si sarebbe sviluppato il centro abitato di Fucecchio: Borgonuovo, villaggio cresciuto accanto all'Arno e vivacizzato dal continuo passaggio di mercanti e pellegrini.
Poco prima dell’anno Mille il conte Lotario, figlio di Cadolo, affiancò alla Chiesa di San Salvatore un monastero benedettino. La nuova istituzione, beneficiando di numerose donazioni, divenne una delle più prestigiose della regione riuscendo ad accumulare un vasto patrimonio fondiario. Nei primi anni del XII secolo un rovinoso straripamento dell'Arno costrinse i monaci a ricostruire gli edifici in un luogo più sicuro, sull'altura vicina al castello di Salamarzana (oggi poggio Salamartano). Da allora, e fino ad oggi, sia pure attraverso modifiche e ristrutturazioni, l'abbazia e l'adiacente chiesa di San Giovanni costituirono il principale polo ecclesiastico del paese.
L'espansione del 1200
Estintasi nel 1113 la dinastia dei Cadolingi, il castello attraversò un periodo di decadenza, trovandosi al centro di conflitti tra le città - Firenze, Lucca e Pisa - che cercavano di occupare lo spazio lasciato libero. E' in questo periodo che maturò una classe dirigente rappresentata essenzialmente dalle famiglie divenute potenti all'ombra dei conti Cadolingi e che ben presto andarono a formare il ceto consolare del Comune, costituitosi sul finire del XII secolo.
Seguirono, nel corso del Duecento, anni di intensa crescita. Il monastero, ormai in crisi, alienò le terre accumulate sulle quali furono costruite nuove abitazioni. Dopo la metà del secolo, quando la crescita demografica divenne sempre più intensa, i nuovi borghi si espansero a ventaglio oltre il "castello vecchio" scendendo in direzione dell'Arno secondo cinque assi che facevano capo alla più antica porta castellana (l'attuale Piazza Vittorio Veneto). Iniziando da oriente essi furono: la contrada di Porta Raimonda (Via P. Martini), Borghetto (Via La Marmora), il borgo di Gattavaia, la contrada di dominus Bernardo (Via Donateschi) e la contrada di Sambuca, ossia l'area compresa tra le attuali piazza Cavour e Poggio Alberighi.
Tale fu l'impulso della crescita che prima della fine del Duecento si dovette procedere alla costruzione di una nuova cinta muraria con la quale si chiusero i nuovi borghi a mezzogiorno. Così, agli inizi del Trecento, l'impronta urbana del castello di Fucecchio era definitivamente consolidata.
La peste e la rinascita del 1500
Nel 1314 il comune di Fucecchio si staccò dall'antica città dominante, Lucca, per accostarsi progressivamente a Firenze, a cui si sottomise nel 1330. In quegli anni il castello aveva raggiunto la sua massima espansione avvicinandosi ai 3000 abitanti, ma la crescita demografica fu presto frenata da una grave pestilenza che, attorno alla metà del Trecento, imperversava in tutta Europa: la popolazione fu decimata, i villaggi delle Cerbaie si spopolarono, le campagne furono abbandonate. Nei primi del Quattrocento il comune di Fucecchio contava soltanto un migliaio di abitanti.
La ripresa fu lenta e andò a coincidere con il graduale ripopolamento delle campagne avvenuto a partire dal 1500. La vendita a basso costo dei terreni comunali e la presenza sempre maggiore di fattorie e latifondi dei ricchi proprietari fiorentini, tra cui i Medici, dette presto un nuovo impulso alle colture. Questa rinascita ed espansione richiamò numerose braccia dando vita, nel corso del XVII secolo, ad una nuova crescita demografica: furono infatti costruite nuove chiese e ampliati gli edifici ecclesiastici, l’edilizia civile si rinnovò con la costruzione dei maggiori palazzi patrizi locali.
Fucecchio tra '700 e '800
Nella metà del ‘700 la crescita demografica diventò ancora più rapida e impetuosa mentre nelle campagne circostanti maturavano importanti novità. Grazie alla vendita a privati del patrimonio comunale delle Cerbaie e dei poderi che costituivano la fattoria granducale di Ponte a Cappiano, circa un terzo del territorio comunale uscì da un secolare immobilismo entrando in circolazione e andando a fondare, o ad allargare, i patrimoni familiari. Anche il prosciugamento del “Lago” di Fucecchio, ricondotto dopo oltre tre secoli all’originaria condizione di palude, contribuì al recupero di terre inutilizzate.
Durante l’800 Fucecchio è di nuovo un paese popoloso dove le principali attività sono legate alla manifattura, all’artigianato e al piccolo commercio ma dove ancora manca un vero impulso industriale e soprattutto una povertà diffusa colpisce lo strato della popolazione più marginale. Il primo nucleo produttivo a dimensione industriale fu la fabbrica di fiammiferi Taddei che, alla fine del secolo, dava lavoro a 600 tra uomini e donne. Sarà solo nel secondo dopoguerra che Fucecchio incontrerà la sua vera “rivoluzione industriale” grazie allo sviluppo dei settori conciario e calzaturiero che moltiplicarono l’occupazione richiamando una consistente immigrazione dal Sud del paese.
L'Eccidio del Padule
Il 23 agosto 1944 è una data indelebile nella memoria di tutti. Un giorno terribile per il Padule di Fucecchio, teatro di un'azione di guerra di un esercito in ritirata. I tedeschi hanno delimitato il Padule durante la notte e all'alba hanno aperto il fuoco.
Bambini di pochi mesi, giovani madri, anziani infermi, uomini inermi vengono giudicati partigiani e uccisi. Sono 175 le vittime della ferocia nazi-fascista. Pochi si salvano, e per miracolo. Ma c'è chi, di fronte ai corpi straziati dei familiari, perde la ragione.
Querce e Massarella, frazioni del comune di Fucecchio, piangono otto morti. La strage coinvolge anche Ponte Buggianese, Castelmartini (Larciano), Cintolese (Monsummano), Stabbia (Cerreto Guidi).Tra i morti, gente del luogo ma anche persone venute da fuori, sfollate, arrivate lì in cerca di sicurezza. Un elenco lungo e straziante.
A pomeriggio inoltrato, i tedeschi - nei comandi - festeggiano l'impresa, cantando, ballando e gridando il falso ''Partigiani kaput''.
La liberazione
Fucecchio fu liberata il 1° settembre 1944 dalla VI Divisione corazzata sudafricana e dalla I Divisione corazzata americana.
L’annuncio della liberazione venne dato da un aeroplano americano atterrato, con due uomini a bordo, nella zona del Padule di Fucecchio a Nord della Via di Burello.
Il 2 settembre il capoluogo presentava un aspetto desolante: case distrutte o gravemente lesionate, cumuli di macerie sulle strade, vetri spezzati, fili delle condutture elettriche a penzoloni, rottami ammassati sulle strade e sulle piazze.
E venne, leggero, sul campo, l’aereo, in quell’inizio di settembre. Piccolo. Carico di speranza. Fine delle angosce. Un giro appena e poi l’atterraggio sotto gli occhi della gente, uscita dai rifugi scavati in un fianco della collina. Che l’aveva sentito e visto e salutato sventolando asciugamani bianchi. Dapprima titubante (ma è davvero americano, dei nostri?), poi con esultanza. Giù dal poggio dei Niccolai e oltre i canali del Padule, in via di Burello, privi di ponti. Tutti, i ragazzi in prima fila, senza temere le mine. Un solo pensiero: è finita. Eppoi intorno ai due soldati che sorridevano, stringevano mani, elargivano baci e abbracci, e parlavano un italiano stentato. Ma la gente capiva. Capiva che i tedeschi non c’erano più, che erano in fuga. E gustava i primi momenti di libertà (Riccardo Cardellicchio)